In questo periodo sono alla ribalta le problematiche ambientali legate alla dispersione di microplastiche nei corsi d’acqua e nei mari. Sulla base della classificazione proposta dal GESAMP (gruppo scientifico dell’ONU che studia gli impatti sull’ambiente marino) nel 2015, l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente danese definisce le dimensioni di tali particelle nell’intervallo 1 nm-5 mm (ossia da 0,000001 mm a 5 mm).

Fra le varie origini, si sta puntando l’attenzione sulle microplastiche primarie, identificabili con i granuli abrasivi utilizzati in scrub cosmetici e paste lavamani o come materie prime nel soffiaggio/fusione di articoli in plastica. È tuttavia soprattutto sulle microplastiche secondarie che viene posto l’accento: si parla dei residui di usura degli pneumatici, di sfaldamento dei tessuti dei capi d’abbigliamento in materiale sintetico e degli assorbenti igienici, di usura e di lucidatura delle vernici, così come delle superfici rivestite in plastica (come i pavimenti in PVC) e vari materiali edili (come gli infissi in PVC, che fra l’altro rilasciano anche ftalati e metalli pesanti), delle suole delle scarpe e dei giocattoli per bambini [Fonte: The Danish Environmental Protection Agency – Environmental project No. 1793, 2015]. Inoltre possono derivare anche da pezzi di plastica rotti e usurati: buona parte delle plastiche, quando arriva nell’oceano, si frammenta in parti piccolissime [Fonte: NOAA – U.S. National Oceanic and Atmospheric Administration].

Gli indumenti sintetici sono tanto comodi, oltre che facili da lavare e da asciugare! Spesso sono economici, il che ha permesso a tante famiglie di ampliare il proprio guardaroba senza incidere troppo sul conto corrente. A volte il comfort viene un po’ in secondo piano: fanno sudare di più e l’odore che ne risulta non è sempre piacevole… ma tant’è: si lavano una volta in più, che male possono fare?

Purtroppo, come sempre quando si ha a che fare con materiali non biodegradabili, possono esserci conseguenze nel lungo periodo sia sull’ambiente sia sulla salute umana. I pelucchi di fibra sintetica (poliestere, poliacrilico e altre), che vengono rimossi dai vestiti durante il lavaggio, finiscono in parte nei filtri della lavatrice, in parte direttamente nello scarico; questi ultimi, che sono i più fini e quindi quelli più soggetti a diffondersi nell’ambiente, verranno in parte trattenuti dagli impianti di depurazione delle acque di scarico (laddove presenti e funzionanti), in parte se ne andranno nei laghi e fiumi e, infine, a mare. Da qui a passare nella catena alimentare di pesci e altri organismi acquatici il passo è breve.

Una caratteristica delle fibre derivate dalle materie plastiche è la compatibilità chimica con le sostanze bioaccumulabili, che assorbono e di cui diventano “trasportatrici”; fra le bioaccumulabili vi sono molte sostanze tossiche. Questa è la ragione principale per cui le microplastiche disperse nell’ambiente sono ora sotto accusa.

Cerchiamo ora di capire se le fibre naturali sono più compatibili con l’ambiente rispetto a quelle derivate da materie plastiche.

Da uno studio pubblicato in una tesi di master in Tecnologie Tessili della Swedish School of Textiles (2011), si evince che al contrario del poliestere (il classico pile, del tutto inattaccabile all’azione di degradazione batterica), le fibre naturali analizzate sono tutte biodegradabili, con alcune differenze a seconda delle molecole che le formano. I tessuti sono stati esposti all’azione dei batteri a contatto con il terriccio, in varie modalità; i dati sono stati ricavati con varie metodiche analitiche.

Lino e cotone possiedono caratteristiche ottime di traspirabilità e di tollerabilità sulla pelle; risultano interessanti anche sotto il profilo ecologico in quanto le fibre che vengono degradate più rapidamente sono proprio le loro, formate da molecole di cellulosa: il lino in particolare rispetto al cotone è un po’ più rapido, in quanto le fibre sono meno strette fra loro e l’acqua penetra meglio, creando le condizioni per la degradazione da parte dei batteri presenti nel terriccio. È stata studiata anche la juta, che risente un po’ della presenza di lignina, la quale influenza negativamente il rigonfiamento delle fibre.

L’altro materiale di origine naturale sottoposto a test è stata la lana. Fermi restando i limiti legati alle capacità allergizzanti degli acari che amano risiedere in questo filato naturale, nonché alla lanolina per alcuni soggetti predisposti, la lana rappresenta al momento una scelta sana rispetto alle fibre sintetiche: esercita un grande potere isolante dal freddo (oltre che dal caldo, come ben sanno i Touareg e gli altri popoli nomadi del deserto) e fa traspirare il sudore. È formata da molecole proteiche di cheratina, che sono molto più difficili da degradare rispetto alla cellulosa da parte dei batteri sia perché rivestite da una patina idrorepellente, sia perché “intrecciate” fra loro con legami chimici a base di zolfo. Così, mentre lino e cotone si degradano in buona parte in 2 e 3 settimane rispettivamente, per la lana bisogna attendere tempi discretamente più lunghi: la degradazione non inizia subito, bensì dopo circa 2 settimane dall’inizio dell’esposizione ai batteri, mentre a 4 settimane il processo è ancora in corso. Questo test può essere considerato indicativo e stimolare ulteriori approfondimenti per quanto riguarda la lana, che rimane comunque un materiale biodegradabile, anche se lentamente.

Quanto alle fibre miste naturali-sintetiche, nei test la parte naturale si è degradata perfettamente, lasciando invece inalterata la trama sintetica: la conclusione è che le fibre sintetiche non sono per nulla biodegradabili.

I prodotti per bucato Bensos sono indicati per lavare qualsiasi fibra. Però teniamo a dare ai nostri Clienti un’indicazione ecologica ulteriore che, a nostro avviso, andrebbe pian piano diffusa proprio alla luce delle recenti osservazioni scientifiche sull’inquinamento da parte delle microplastiche e tenendo conto degli studi effettuati sulla biodegradabilità delle fibre naturali: il lavaggio di fibre sintetiche, pur se fatto con prodotti ecologici, si sta evidenziando sempre più come uno strumento involontario di immissione di microplastiche non biodegradabili nelle acque dei corsi d’acqua e dei mari; tali fibre andrebbero quindi pian piano rimosse dai nostri guardaroba e, complessivamente, dall’utilizzo. Le fibre naturali invece, oltre ad avere minore tendenza ad assorbire le sostanze tossiche bioaccumulabili, vengono completamente rimosse dall’ambiente in tempi più o meno brevi, da parte dei microorganismi presenti nell’ambiente stesso; sono quindi ecologiche e sane.

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